Rompere il ciclo
Se pensare ossessivamente a un problema ci allontana dalla soluzione e "smettere di pensare" è un comando che il nostro cervello non sa eseguire, qual è la via d’uscita?
Ho iniziato a leggere un nuovo libro, si chiama Determinati di Robert Sapolsky.
Quando un argomento mi colpisce ma non conosco bene l’autore, mi capita di fare qualche ricerca, così, per curiosità.
Chi è Robert Sapolsky? Di che si occupa? Di che scrive di solito? Cosa studia?
Ho scoperto che Sapolsky è un ricercatore eccezionale.
Intanto, non immaginarlo come il solito studioso in camice bianco chiuso in laboratorio. È un personaggio affascinante che ha trascorso anni in Africa a studiare i babbuini per capire meglio lo stress nella società umana.
Ed è proprio attraverso queste ricerche che Sapolsky offerto al mondo intuizioni incredibili.
Una delle sue scoperte più intriganti riguarda ciò che accade quando ci sentiamo depressi.
Secondo gli studi di Sapolsky, in quelle situazioni, il cervello adotta un comportamento quasi controintuitivo: si aggrappa ossessivamente ai problemi, cercando di "risolverli" attraverso un pensiero continuo e ripetitivo.
Questo meccanismo è particolarmente interessante perché rivela quanto il nostro cervello possa essere paradossale: proprio quando avremmo bisogno di distrarci e allentare la presa, tendiamo invece a stringere ancora di più, masticando e rimasticando i nostri pensieri come se fossero una gomma che ha perso tutto il suo sapore.
Perchè lo facciamo?
La risposta è sorprendentemente semplice: il nostro cervello crede di proteggerci. Pensa che analizzando continuamente il problema riuscirà a trovare una soluzione. È come se ci dicesse: "Se ci penso abbastanza, se lo analizzo da ogni angolazione possibile, troverò sicuramente una via d'uscita."
Questo mi ha fatto pensare a un altro libro illuminante che ho letto di recente: Donne che pensano troppo di Susan Nolen-Hoeksema. L'autrice ha dedicato anni di ricerca a questo fenomeno, scoprendo che la ruminazione è particolarmente comune nelle donne.
Non è una questione di capacità o intelligenza, ma di modelli comportamentali appresi e rinforzati dalla società.
Quando rimuginamo, attiviamo le stesse aree cerebrali coinvolte nella risoluzione dei problemi. Ma c'è una differenza fondamentale: invece di procedere verso una soluzione, rimaniamo bloccati in un loop di pensieri negativi. È come camminare su un tapis roulant: facciamo tanto movimento, ma non andiamo da nessuna parte.
Sia Sapolsky che Nolen-Hoeksema concordano su un punto fondamentale: la ruminazione non è solo inutile, è dannosa.
Aumenta i livelli di cortisolo (l'ormone dello stress), compromette la nostra capacità di prendere decisioni e, paradossalmente, ci rende meno efficaci nel risolvere i problemi reali.
Come si spezza il ciclo della ruminazione
Se pensare ossessivamente a un problema ci allontana dalla soluzione e "smettere di pensare" è un comando che il nostro cervello non sa eseguire, qual è la via d’uscita?
Bene, la chiave è questa: uscire dalla propria testa.
Ma cosa significa, praticamente? Significa interrompere quel circolo vizioso in cui il pensiero si morde la coda, spostando l’attenzione verso qualcosa di concreto, esterno a noi. Invece di cercare risposte all’interno del caos della mente, possiamo indirizzare le nostre energie verso azioni che spezzano il ritmo del rimuginio.
Per esempio, puoi muovere il tuo corpo, fare qualcosa di creativo o manuale, parlare con qualcuno o anche imparare a connetterti con il momento presente (questo è il cuore della mindfulness).
Un altro punto fondamentale è questo: non siamo fatti per affrontare e risolvere le difficoltà da soli.
Lo confermano gli studi su babbuini di Sapolsky (pazzesco!).
Sapolsky ha osservato che gli individui con legami sociali più forti mostravano livelli di cortisolo – l’ormone dello stress – significativamente più bassi.
Non era tanto il numero di problemi a fare la differenza, quanto la qualità del supporto sociale di cui disponevano.
I babbuini che trascorrevano più tempo impegnati nel grooming – quel rituale di pulizia reciproca del pelo – erano anche quelli che gestivano meglio le situazioni stressanti.
Tutto questo ci insegna qualcosa di profondo sulla nostra natura: il cervello umano si è evoluto per affrontare le difficoltà in modo collaborativo, non in isolamento. Quando ci chiudiamo in noi stessi e rimuginiamo ossessivamente, stiamo andando contro questa natura.
Quindi, la prossima volta che ti trovi intrappolata o intrappolato nei tuoi pensieri, ricordati questo: il tuo cervello sta cercando di proteggerti, ma sta usando la strategia sbagliata.
Non hai bisogno di più pensieri, forse hai bisogno di più connessione.
Non isolarti per "pensare meglio", ma prova a condividere il peso con gli altri.
A volte la soluzione non è pensare di più al problema, ma smettere di convincersi che il pensiero sia la soluzione.
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Ciao Virginia, ho trovato la tua mail molto interessante e condivido tutto ciò che hai scritto, anche perché mi sta succedendo in prima persona di uscire dal rimugino solo se ho più connessioni. Ho passato molte settimane a pensare e ripensare sempre alla stessa cosa, mi stavo tenendo tutto dentro e poi booom alla fine sono scoppiata. Ho fatto prima una seduta con la mia psicologa, poi ho condiviso le mie paure e ansie col mio compagno e mi sono sentita meglio. Attualmente non è che quei pensieri non ce li ho più, ma il peso è diviso tra me e il mio compagno e ho provato a focalizzare la mia attenzione fuori. Sto scrivendo anche il tuo journal. Una vera guida. Illuminante. Grazie. A Presto!
Ciao Virgi!
Super interessante, sicuramente il libro che stai leggendo sarà inserito nella mia booklist. In questo periodo mi sto proprio interrogando su come rompere il ciclo del pensare troppo ed uscire da un loop che è controproducente.
Capita, molto spesso, di non riuscire ad uscire dal loop e di sentirsi sbagliati/e. Ma non è così.